Paolo Natali
Paolo Natali


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Marzo 2007

Dopo il congresso comunale, nel mese di marzo, si è svolto il congresso provinciale della Margherita, che ha avuto una conclusione unitaria, con l’elezione a coordinatore di Gianluca Benamati. Ci sono quindi tutte le condizioni perché nel bolognese la Margherita riprenda un’attività politica efficace, fondata, dal punto di vista organizzativo, su una rete che colleghi in permanenza circoli territoriali e tematici, eletti ed amministratori, ed in grado di elaborare contenuti programmatici frutto anche di una capacità di ascolto dei bisogni dei cittadini e delle istanze delle categorie e delle organizzazioni socioeconomiche del territorio.


Dovremmo anche utilizzare i mesi che ci separano dalla nascita del Partito Democratico per approfondire il confronto interno con i DS e con tutto il “popolo delle primarie” sull’identità, sui valori fondativi e sulle regole di democrazia interna del nuovo partito.


 


Questo mese vorrei dedicare un po’ di spazio ad una riflessione sul tema dei costi della politica, vale a dire sugli emolumenti percepiti dai politici impegnati in attività amministrativa, in quanto amministratori locali (Sindaci ed Assessori) o Consiglieri (ed io sono tra questi).


Si tratta di un tema delicato, che di tanto in tanto ritorna di attualità sulla stampa: l’occasione più recente è stata offerta dalla pubblicazione dei dati sull’attività del Consiglio comunale di Bologna nella prima metà del mandato (dal 13/7/04 al 31/12/06) che ha dato spunto a considerazioni e commenti polemici sull’entità dei compensi degli amministratori ed eletti comunali, provinciali e regionali.


I cittadini elettori nella stragrande maggioranza ritengono che tali compensi siano eccessivi ed ingiustificati, soprattutto se messi a confronto con quello che guadagnano i “comuni mortali” che, nella maggior parte dei casi superano di poco i 1000 € mensili.


La critica dei cittadini riguarda non solo l’entità dei compensi ma anche la quantità e qualità dell’impegno dei politici.


Credo che questo giudizio negativo sia in larga misura giustificato, anche se in qualche caso viziato da un certo qualunquismo (“sono tutti ladri”, “sarebbe meglio che andassero a lavorare”…..).


Vorrei tuttavia puntualizzare alcuni aspetti che meritano di essere considerati: il problema infatti è complesso e va visto da diverse angolature.


1)      Ogni cittadino, indipendentemente dalla sua condizione lavorativa e dal suo reddito, deve essere messo in condizioni di svolgere un’attività politico-amministrativa.


2)      Se si vuole svolgere bene e con efficacia tale attività, occorre dedicare ad essa molto tempo, soprattutto se si è membri di un organo esecutivo, ma anche se si è semplici consiglieri (magari, è il mio caso, Presidenti di una Commissione consiliare assai impegnativa). Infatti occorre leggere con attenzione documenti a volte complessi, preparare interventi, eventuali ordini del giorno ed interpellanze. A ciò si aggiungono i contatti con i cittadini e con i funzionari pubblici ed il lavoro organizzativo della Commissione, tutti impegni al di fuori della presenza alle sedute.


3)      Agli amministratori che lavorano la legge permette di mettersi in aspettativa senza assegni e questo richiede la corresponsione di un’ indennità di carica sostitutiva. Ai consiglieri non è consentita l’aspettativa ma soltanto la concessione di permessi per la partecipazione alle riunioni istituzionali e, sul piano economico, il pagamento di un gettone di presenza, con facoltà di optare (ma a Bologna ciò non è regolamentato e quindi impossibile) per un’indennità di carica. Per i consiglieri del comune di Bologna l’importo del gettone è di circa 73 € lordi per ogni seduta. Il totale può raggiungere al massimo i 2200 € mensili netti, che possono subire un’ ulteriore decurtazione in sede di denuncia dei redditi annuale a seguito dell’applicazione di un’aliquota progressiva.


4)      Sono pochi ? Sono troppi? Va tenuto presente, per esprimere un giudizio, che i consiglieri non si trovano tutti nella medesima condizione.



  • C’è infatti chi svolge una libera professione e, sottraendo tempo ad essa per il suo impegno politico, merita un compenso sostitutivo del mancato reddito.

  • Per chi è lavoratore dipendente o pensionato (come il sottoscritto) il gettone di presenza rappresenta sostanzialmente una gratificazione integrativa del proprio reddito.

  • Per chi non ha un lavoro e vive del proprio impegno politico è chiaro che ciò che viene percepito grazie ad esso diventa “ragione di vita” e questo rappresenta, a mio giudizio, un condizionamento ed una forte limitazione di libertà.

Sarei lieto di raccogliere pareri ed opinioni su questo tema, anche come orientamento per eventuali decisioni che si dovessero assumere nel merito.


Sul sito, nella sezione “Documenti” trovate la tabella con le presenze e le votazioni dei Consiglieri comunali, cui ho fatto cenno in premessa.

inviato il 01/04/2007 18:23:31

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