Paolo Natali
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Febbraio 2009

Cari amici,
sono tante le domande che ci siamo posti in questi giorni a proposito del Partito Democratico e delle vicende che sono seguite all'esito negativo delle elezioni regionali in Sardegna.
Ha fatto bene Veltroni a dimettersi? E' stata giusta la scelta di non ricorrere a nuove primarie o addirittura ad un congresso per eleggere subito il suo successore? E' condivisibile la nomina a larghissima maggioranza di Franceschini? E che giudizio dare del discorso con cui egli ha enunciato i suoi intenti? E infine (ma forse innanzitutto) il progetto del Partito Democratico è ancora valido per il nostro paese?
Credo che ciascuno di noi abbia dato le sue risposte, risposte dettate da valutazioni politiche ma anche, ritengo, dal nostro personale approccio ai problemi che la vita, non solo politica, ci presenta quotidianamente.
In estrema sintesi io condivido, anche in questa circostanza, la scelta fatta da Rosy Bindi e le ragioni che l'hanno motivata.
Provo ad aggiungere qualche considerazione.
La sofferta decisione di Veltroni, con le nobili parole che l'hanno accompagnata, mi ha ricordato quella di un allenatore che sceglie di farsi da parte, dopo ripetute sconfitte della sua squadra, allo scopo di favorire, attraverso la scossa che comunque si determina con un cambio della guida, migliori risultati in tempi brevi, evitando la retrocessione e rimandando ad un momento successivo (congresso) il rinnovamento complessivo della formazione e delle strategie di gioco. E' una scommessa: la squadra fondamentalmente resta quella che è ma l'allenatore può introdurre da subito quelle innovazioni, dettate dalla negativa esperienza del passato, che possono cercare d'interrompere la serie negativa.
Naturalmente la cosa può funzionare solo se lo "spogliatoio" collabora....
Fuor di metafora (approssimativa, come tutte le metafore) le difficoltà incontrate da Veltroni (che porta comunque una sua personale responsabilità) sono simili a quelle che hanno causato la fine del governo Prodi e dell'Unione: particolarismi personali o di partito hanno prevalso sulla necessaria unità d'intenti. Il progetto del Partito Democratico, proprio perchè nato dalla volontà di unire riformismi caratterizzati da matrici culturali ed ideali diverse, ma anche da obiettivi comuni, richiedeva una coraggiosa e perseverante capacità di discussione e di confronto che è mancata nelle sedi interne e che si è spesso manifestata all'esterno in modo dirompente, rendendo difficile la sintesi sui temi principali dell'agenda politica e sfuocata l'identità del partito. Si è discusso troppo poco (sulle alleanze, sulla collocazione internazionale, sui rapporti con il sindacato, sulla laicità.....) nelle sedi di partito a ciò deputate e troppo e in modo lacerante sulla stampa e di fronte al paese.
Poi, certo, la questione morale che ha investito il partito soprattutto in alcune zone del meridione, il limitato radicamento territoriale in molte parti d'Italia, la spregiudicata capacità di Berlusconi di alimentare e d'interpretare alcune paure presenti nel paese alle quali il P.D. non è stato capace di dare risposte convincenti, hanno fatto il resto.
E' un po' (perdonatemi un'altra metafora) come in un matrimonio tra due sposi, assai diversi fra loro (per carattere e per cultura oltre che per sesso) ma uniti dal fermo desiderio di condividere la vita della quale hanno una visione comune: se non ci si parla mai, se si negano i problemi che giorno per giorno inevitabilmente si presentano (proprio in ragione di una diversità che arricchisce l'unione ma che crea anche difficoltà), se si preferisce mettere in piazza queste stesse difficoltà anzichè affrontarle in privato, si fanno passi inesorabili verso la separazione.
Ma, tornando al P.D., il progetto è ancora valido ma ha bisogno d'interpreti nuovi o che comunque si comportino diversamente dal passato. Ed è un progetto di lungo periodo, che richiede pazienza e determinazione.
D'altro canto il bipolarismo non ha alternative e gli sforzi dell'UdC per ricostituire un grande centro determinante attraverso l'uso utilitaristico ed ambiguo della politica dei due forni non ha futuro.
Indietro non si torna: stiamo impegnandoci, e più il tempo passa più ci riusciremo, ad abbandonare le etichette di ex-DS ed ex-DL e non ci dovranno essere ex- P.D.
Il discorso con il quale Franceschini ha fatto il suo esordio dimostra piena consapevolezza di tutto ciò: speriamo che ad esso seguano, coerentemente, i fatti.

Paolo

inviato il 26/02/2009 09:08:39

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