Paolo Natali
Paolo Natali


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Settembre 2007 bis

Le elezioni “primarie” del 14 Ottobre (anche se, a rigore, non si tratta di vere primarie, in quanto non ci sono da scegliere dei candidati per successive elezioni , ma da eleggere i Segretari nazionale e regionali ed i membri delle rispettive Assemblee costituenti del Partito Democratico) rappresentano indiscutibilmente un fatto nuovo e di grande importanza nel panorama politico nazionale.


Prende avvio infatti il processo costituente di un nuovo partito (e, si spera, di un partito nuovo), che nasce dallo scioglimento di DS e Margherita e che realizza, a distanza di oltre dieci anni, il progetto dell’Ulivo.


Un fatto aggregativo, di per sé in controtendenza rispetto alla frammentazione crescente del sistema politico italiano, forse l’ultima occasione possibile per riavvicinare i cittadini alla politica e per contrastare le pulsioni “antipolitiche” assai diffuse tra i cittadini stessi.


L’esito non è affatto scontato. Il P.D. infatti, fin dalla fase costituente, dovrà mostrare, sia nei contenuti che nei modi della sua azione politica, di saper comprendere e dare risposta alla domanda di buona politica che nasce dal paese, espressa magari in modo sguaiato e volgare dal “Grillo parlante” e tuttavia ineludibile.


E’ allora importante partecipare numerosi il 14 Ottobre, dichiarando così la propria volontà di partecipare a costruire un Partito davvero autenticamente Democratico, sperando che questa volontà trovi un riscontro positivo.


Va bene votare, ma per chi?


Qui cominciano i primi problemi. Intanto perché è stato deciso che si svolgano contemporaneamente le elezioni del livello nazionale e regionale, che, in quanto distinte e non collegate rigidamente attraverso candidature che si sostengano reciprocamente, avrebbero potuto svolgersi in momenti diversi.


Detto ciò, quello che si è verificato è stata la candidatura nazionale di Veltroni (e di Franceschini come vice), attorno alla quale i DS hanno fatto blocco e dalla quale, in cascata, sono state proposte candidature regionali (da noi quella di Salvatore Caronna) frutto di accordi e di spartizioni decise a livello nazionale dalle segreterie dei due partiti fondatori. A tale metodo, che rischiava di produrre a tutti i livelli candidati unici eletti con voto plebiscitario, si sono opposti prima Rosy Bindi e poi Enrico Letta, le cui candidature nazionali hanno poi suscitato, a scala regionale, altri candidati (in Emilia-Romagna, Antonio La Forgia e Palma Costi).


Ora è chiaro che stiamo parlando di candidati tutti autorevoli e degni, dei quali non si discutono le capacità e l’idoneità a guidare il partito in questa prima fase della sua vita. Così come è chiaro che, esaurita la fase costituente top-down, il P.D. dovrà definire i propri assetti attraverso momenti congressuali bottom-up. E tuttavia, dovendo esprimere una scelta, debbo dire che non mi è piaciuto il processo verticistico e bloccato che ha accompagnato le candidature Veltroni-Caronna ed anche la formazione delle rispettive liste, certamente tutte formate da degne persone ma decise dall’alto, secondo modalità poco trasparenti e nelle quali sia il rimescolamento DS-Margherita, sia la presenza di esponenti della società civile non è il risultato di moti spontanei e volontari ma di scelte studiate, dosate e programmate a tavolino.


Si sarebbe dovuto dare maggiore spazio e respiro al lavoro di promozione del Partito Democratico da parte dei comitati di territorio, nei quali si è realizzata da tempo quella conoscenza, quella fiducia reciproca e quella collaborazione tra militanti dei D.S. e della Margherita (penso ad esempio alla realtà del quartiere S.Donato, dove vivo da quasi quarant'anni) che poteva e, mi auguro, potrà realizzare la matrice ulivista del nuovo partito.


Ecco perché la mia preferenza va, in questa fase, alla Bindi ed a La Forgia, non tanto per ragioni di contenuto delle proposte politiche (sulle quali in verità non c’è stata molta enfasi da parte di nessuno, il che è anche comprensibile: non stiamo parlando di programmi alternativi e contrapposti di avversari politici ma di sensibilità e storie diverse destinate alla fine, speriamo, ad incontrarsi ed a collaborare) ma perché intanto hanno offerto un’alternativa all’unanimismo e, soprattutto, perché le loro liste sono il risultato di vere primarie, magari un po’ artigianali e frettolose ma che hanno comunque dato la possibilità a gente nuova di farsi avanti, di dichiarare la propria disponibilità ad impegnarsi e di sottoporsi all’esame del voto.


Di questo la stampa ha parlato pochissimo, mentre si tratta di un aspetto politicamente assai rilevante, dal momento che le primarie, nel P.D., dovrebbero essere il modo normale di selezione delle candidature.


Per quanto mi riguarda ho deciso di non candidarmi, nemmeno con una collocazione in fondo alle liste, e ciò per diversi motivi.


Innanzitutto penso che chi ha già un impegno istituzionale debba concentrarsi su di esso, senza essere indifferente alle vicende di partito, ma testimoniando, nei fatti, la distinzione tra i due livelli.


In secondo luogo credo che in questa fase, nella quale si tratta di costruire un partito nuovo, si debba lasciare spazio ai giovani ed a chi non appartiene al "ceto politico": forse così sarà più facile che la domanda di novità che nasce dal paese trovi riscontro nell'identità e nello stile del Partito Democratico.


Non si tratta comunque di un disimpegno o di una rinuncia ad assumere responsabilità future, se esse saranno confortate da indicazioni che nascono dal basso e non da investiture contrattate ai vertici.


Paolo

inviato il 04/10/2007 19:30:37

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