Paolo Natali
Paolo Natali


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Marzo 2008

Tra meno di due settimane saremo chiamati alle urne per eleggere i due rami del Parlamento che dovranno esprimere il prossimo governo del paese. Dire che si tratta di un atto di particolare importanza è perfino banale, in un paese come il nostro nel quale ogni elezione politica, da quindici anni almeno è stata vissuta come uno scontro decisivo per le sorti del paese stesso, salvo rendersi conto in breve tempo che il sistema politico rimaneva bloccato, per una serie di motivi che sarebbe lungo analizzare in questa sede ma che sono sotto gli occhi di tutti. Siamo quindi ancora in mezzo al guado di una transizione troppo lunga, che rischia di condannarci, in Europa e nel mondo, ad una posizione mediocre dal punto di vista del progresso civile e democratico prima ancora che economico.

In queste elezioni tuttavia mi pare che ci sia qualche elemento di effettiva novità.
In primo luogo la nascita del Partito Democratico, avvenuta con una brusca accelerazione il 14 ottobre scorso, dopo una lunga gestazione: la scelta si è tra l’altro rivelata straordinariamente tempestiva, perché consente al nuovo partito, dopo soli 5 mesi di vita nei quali è riuscito a darsi un primo assetto organizzativo, di affrontare questa importante scadenza elettorale. E si tratta, è bene sottolinearlo di fronte alle diverse, frettolose ed obbligate “imitazioni” di destra e di sinistra, di un partito vero e non di liste che rappresentano una coalizione più che una formazione politica.
Il P.D. ha rappresentato comunque un segno di unità e di ricomposizione in una situazione caratterizzata da divisione e frammentazione. A ciò si è aggiunta la scelta di correre da solo alle elezioni, salvo l’alleanza con l’Italia dei Valori e l’inserimento nelle liste di alcuni esponenti radicali (che tuttavia non squilibrano il carattere già marcatamente plurale del P.D. – su questo tornerò oltre). Questa scelta, che mi pare giustificata conseguenza della travagliata vita del governo Prodi, costantemente condizionato e minato dalla litigiosità di una coalizione troppo ampia e disomogenea, è destinata a produrre comunque una semplificazione del quadro politico anche a causa degli sbarramenti e delle soglie del sistema elettorale vigente.
La decisione di correre da soli risponde dunque a motivi di libertà del P.D. nel presentare le proprie proposte politiche e di chiarezza ed assunzione di responsabilità nei confronti dei cittadini, ma non deve significare autosufficienza e rifiuto aprioristico di collaborazione con altre forze politiche, con le quali si verificassero convergenze programmatiche.

Un altro elemento di novità, che è distintivo del P.D. rispetto alle altre forze politiche, è quello delle candidature nelle liste elettorali. Purtroppo non è stato possibile fare le primarie (lo Statuto, approvato il 25/2, prevede un regolamento che non c’è ancora) che sarebbero state più che mai necessarie, in presenza di un sistema elettorale che non permette l’espressione della preferenza, e le frettolose consultazioni effettuate si sono rivelate poco significative. Tuttavia la presenza dei giovani e, soprattutto, delle donne, non solo nelle liste ma anche (speriamo) tra gli eletti, è considerevolmente maggiore che in passato: la prassi del 50 % adottata nelle elezioni per gli organismi interni si sta consolidando positivamente. L’esclusione (motivata) di De Mita, al di là del suo carattere simbolico, mi pare incoraggiante. Insomma non sarà tutto nel segno della novità ma qualcosa si è mosso in questa direzione.

Mi pare anche innovativo il fatto che il P.D. abbia ritenuto necessario darsi un Codice Etico ed un Manifesto dei Valori, approvati, insieme allo Statuto, il 16 febbraio scorso.
Si tratta di due documenti che contribuiscono a definire l’identità, il profilo del partito, il primo fissando le norme di comportamento, lo stile al quale debbono attenersi gli eletti, gli aderenti ed i responsabili del P.D., il secondo indicando i principi ed i valori che ispirano l’azione politica del P.D. a tutti i livelli, da cui derivano le sue scelte programmatiche.
Proprio da questo secondo documento estraggo, tra i tanti, quattro aspetti che mi paiono particolarmente caratterizzanti dell’innovazione politica.

1°) Il P.D. è per un bipolarismo nuovo, fondato su chiare alternative per il governo e non più su coalizioni eterogenee il cui solo obiettivo sia battere l’avversario. Da questo deriva un atteggiamento di rispetto per gli avversari e di rifiuto della violenza reale e simbolica, oltre che il senso del limite della politica. Qualche passo avanti in questa direzione lo si sta notando in questa campagna elettorale, anche se la tentazione della rissa e dell’insulto è sempre forte e talvolta emerge irresistibilmente (mi pare prevalentemente per iniziativa del centrodestra).

2°) Il P.D. è un partito a vocazione maggioritaria, cioè si pone come grande forza nazionale che non intende cioè rappresentare segmenti anche importanti ma parziali della società, ma che assume una visione ampia dell’interesse generale della società stessa cercando di rappresentarne tendenzialmente tutti gl’interessi degni di apprezzamento, anche apparentemente antagonisti, ricercando sintesi utili al governo del paese: emblematico in tal senso il voler rappresentare sia gl’interessi dei lavoratori che quelli dell’impresa (si è molto ironizzato, mi apre ingiustamente, sul “ma anche “ di Veltroni, che esprime proprio la complessità della società e la volontà di tenerne conto). Ora è chiaro che in ciò è insito il rischio di dare vita ad un partito balcanizzato e diviso, ad una federazione di rappresentanti di gruppi separati fra loro e incapaci di fare sintesi. D’altra parte il P.D. nasce dall’incontro di culture e di esperienze politiche anche profondamente diverse, tra le quali è necessario promuovere un costante confronto nello spazio pubblico offerto dal partito stesso, a tutti i livelli, in vista delle sintesi necessarie per l’azione di governo, ma anche per realizzare quella mescolanza tra le diversità che sola può far dimenticare col tempo le passate appartenenze (gli ex-) senza che ciò debba portare a dimenticare la propria storia e le proprie origini, matrici ed ispirazioni culturali e religiose (per chi le ha).

3°) Il P.D. è un partito laico, che crede nell’importanza del libero confronto, nel rispetto e nella valorizzazione del pluralismo degli orientamenti e delle ispirazioni ideali e culturali. Il Manifesto contiene un esplicito riconoscimento della rilevanza, nella sfera pubblica e non solo privata, delle religioni, dei convincimenti filosofici ed etici, delle diverse forme di spiritualità. Le energie morali, se riconoscono il valore del pluralismo e del dialogo rappresentano un elemento vitale della democrazia.

4°) Il Manifesto sottolinea altresì che l’epoca che stiamo vivendo pone inediti interrogativi etici ed afferma che non tutto ciò che è realizzabile tecnicamente è anche eticamente accettabile, né è sempre utile sul piano sociale, economico, ambientale.

Con queste riflessioni ho cercato di riassumere alcune delle ragioni che mi hanno indotto ad aderire al P.D. e che giustificano il mio convinto voto alle sue liste nelle elezioni del 13 e 14 aprile. Spero che esse possano servire a motivare la medesima scelta da parte di chi ha avuto la pazienza di leggerle.

Paolo

inviato il 27/03/2008 08:54:08

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