Paolo Natali
Paolo Natali

 

Cons 12-12-05 COMMEMORAZIONE DEI 40 ANNI DALLA FINE DEL CONCILIO

Grazie.  L'8  dicembre  di  quarant'anni  orsono Papa Paolo VI celebrava la
chiusura  del  Concilio  Vaticano  Secondo,  del  quale  Giovanni  XXII con
discernimento  profetico  aveva soprendentemente annunciato la convocazione
il  25  gennaio  del  '59  e  che lo stesso Papa Roncalli aveva aperto l'11
ottobre  del  '62.  Mi  pare  doveroso  ed opportuno fare memoria in questo
consesso  che  riunisce  credenti,  donne  e uomini di buona volontà, di un
evento  che  ha segnato in modo indelebile la storia della seconda metà del
secolo  scorso e che continua tuttora ad influenzare la vita della chiesa e
dell'umanità  tutta  intera, come cercherò di ricordare in questo pur breve
intervento.  Erano  gli  anni  '60,  segnati  da  gravi  tensioni politiche
nazionali  ed  internazionali,  dalla  paura  per un conflitto nucleare, ma
anche  dalle  speranze che trovavano eco nell'enciclica Pacem in terris, ed
ai fermenti ed alle attese di rinnovamento della società e della chiesa
che  il Concilio Vaticano II seppe interpretare.
Diversi  dei  presenti  hanno  l'età  per  essere stati testimoni diretti e
partecipi  del  clima  di  quegli  anni, ed in particolare Bologna visse il
Concilio  da  protagonista,  non  soltanto per il ruolo decisivo svolto dal
Cardinal  Lercaro, arcivescovo della nostra città, ma anche per la presenza
attiva  di monsignor Bettazzi, vescovo ausiliario di Bologna, per l'apporto
determinante di Don Dossetti, che aveva lasciato da pochi anni il suo posto
tra questi banchi, del professor Alberigo e degli studiosi della cosiddetta
Officina  Bolognese  e  di Raniero La Valle, che dalle pagine dell'Avvenire
d'Italia, autorevole quotidiano cattolico bolognese, seppe essere fedele ed
acuto  commentatore  ed  interprete  del  clima conciliare. Inoltre, in 280
giorni  di lavori assembleari nell'arco di 3 anni vennero prodotti numerosi
documenti,  frutto  di  un  intenso  ed  appassionato  lavoro non scevro da
tensioni  e  polemiche.  Fu  un  Concilio  prevalentemente  non  dogmatico,
preoccupato  cioè  di  ribadire  o denunciare verità di fede, ma ecumenico,
cioè  animato dal desiderio della chiesa cattolica, quasi nuova pentecoste,
di  stabilire  rapporti  più fraterni e di dialogo con le altre confessioni
cristiane  e  con  le  grandi  religioni  monoteiste,  in particolare con i
fratelli  maggiori  dell'ebraismo,  e  pastorale,  vale  a  dire  impegnato
principalmente  nel  ridefinire  un  nuovo sistema di relazione all'interno
della  chiesa  fondato  sulla  collegialità episcopale, sulla categoria del
popolo  di  Dio  ed  un  nuovo atteggiamento della Chiesa nei confronti del
mondo  contemporaneo  -  tornerò  tra  poco  su questo aspetto. Particolare
attenzione  fu  poi  dedicata  al  ruolo dei credenti laici, ai quali venne
riconosciuta  nelle realtà temporali, autonoma responsabilità per un'azione
animata  da una coscienza cristianamente ispirata. Ma le acquisizioni forse
di  maggiore  importanza  per la vita della chiesa sono legate alla riforma
liturgica  di  cui Lercaro fu protagonista indiscusso con il recupero delle
lingue  nazionali al posto del latino e il celebrante rivolto all'assemblea
ed  il  rilievo centrale dato all'ascolto della parola di Dio attraverso la
Bibbia  tutta intera, antico e nuovo testamento. Furono novità che resero e
rendono  ancora  oggi  la  chiesa del post concilio radicalmente diversa da
quella  di quarant'anni or sono. Vorrei concludere, dato che ci troviamo in
un  contesto  civile e non ecclesiale, con alcuni brevi spunti tratti dalla
Gaudium  et  Spes,  la  Costituzione  sulla chiesa nel mondo contemporaneo,
approvata appena il giorno prima della chiusura del Concilio. La chiesa, vi
si  afferma,  ha  sentito  il  bisogno  di  conoscere,  di  avvicinare,  di
comprendere,   di  penetrare,  di  servire,  di  evangelizzare  la  società
circostante  e di coglierla, quasi di rincorrerla nel suo rapido e continuo
mutamento.  Essa  si  incarna  nella storia e cammina con il mondo, facendo
proprie  le  gioie e le speranze che rappresentano il titolo del documento,
le  tristezze  e  le  angosce  degli  uomini d'oggi, sentendosi realmente e
intimamente  solidale  con  il  genere umano e con la sua storia. Da questa
interrelazione  tra  chiesa  e  famiglia  umana,  scaturisce  il  dovere di
scrutare  i  segni  dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, per
individuare  non solo quanto la chiesa ha da dare al mondo, ma anche quanto
ha  da  ricevere  da  esso.  Così  il  Concilio continua ad essere oggi una
sorgente  per  la  chiesa  e  l'intera famiglia umana, e in un momento come
quello  attuale  caratterizzato dal risorgere di steccati e di barriere che
si  speravano  eliminate  per  sempre,  la  lezione di dialogo e di ascolto
reciproco  del  Concilio  conserva  intatta  la  sua  attualità e validità.
Grazie.


                   




inviato il 20/12/2005 18:30:38

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